E’ il 1990 quando al Forteto si gettano le fondamenta del nuovo caseificio. Sul cantiere, come si vede dalla foto, ci sono due ragazzini. Uno è Marco, 14 anni, in seguito uscito dalla comunità e morto a Livorno per droga e stenti nel 2007, da senzatetto. L’altro è F., 12 appena: è proprio lui che oggi ci ha consegnato questo e altri scatti. “Facevamo il cemento, si mettevano i mattoni”, spiega F., che oggi vive fuori dalla comunità e che già testimoniando al processo nel 2014 aveva raccontato la sua esperienza lavorativa al Forteto: prima della scuola, all’alba, andava ad occuparsi del bestiame. Se non c’era da studiare, si lavorava anche il pomeriggio. “Molte di queste foto me le hanno fatte i dipendenti esterni della cooperativa, con una macchina fotografica che avevo ricevuto in regalo”. I dipendenti esterni, in un recente comunicato, hanno asserito di non aver mai visto bambini a lavoro in cooperativa. “Io ho lavorato da 12 anni in poi – sostiene F. – e alcuni dipendenti esterni erano lì, con me”.
Questi scatti sopra mostrano ad esempio F. al lavoro nei campi accanto ad un trattore e al maneggio, all’opera per sistemare una recinzione. Con lui ci sono alcuni adulti, all’epoca componenti della comunità, mentre non si vedono dipendenti esterni. In una delle foto c’è anche un altro ragazzo: quello che il giudice Gian Paolo Meucci aveva affidato da bambino a Rodolfo Fiesoli, al suo ritorno al Forteto dopo l’arresto nel 1978 e la permanenza in carcere.
Qui sopra vediamo invece F. nel caseificio, dove inizierà a lavorare stabilmente dopo la terza media, “Ma tutto gratis”, tiene a precisare. “All’inizio non mi facevano stare dentro, lavavo le cassette fuori dal caseificio. Poi invece, verso i 14-15 anni, sono entrato”. Non una presenza sporadica, come si nota dal dettaglio del grembiule ingrandito: si vedono le lettere del suo nome, segno che F. aveva una sua tenuta da lavoro al pari degli altri impiegati al caseificio. Quel caseificio dove negli stessi anni una coetanea di F., allora quindicenne, si amputò un dito: “Avevamo finito di fare lo yogurt – ha testimoniato al processo – erano intorno alle sette di sera, eravamo a lavare l’imbuto dove si metteva lo yogurt ed io ci infilai un dito e rimasi incastrata”. Ma in ospedale fu costretta a dire che si era fatta male con un tritatutto, e quell’incidente sul lavoro non fu mai registrato come tale. Qualche anno dopo fu un ragazzo a perdere una falange rimasta schiacciata nella sponda del camion dove si caricavano le cassette per il formaggio.
In quest’ultima foto F. è ormai maggiorenne, davanti a lui c’è un bambino anche se non impegnato nei lavori. “Stavo decidendo di andarmene, per questo per farmi restare provavano a farmi affezionare a lui”. In quel luogo si svolgeva una parte della tingitura dei formaggi, “proprio davanti c’era l’ufficio di una dipendente esterna”. E tra i fuoriusciti del Forteto c’è chi afferma di aver lavorato da ragazzina proprio davanti a quell’ufficio con la porta a vetri.